Il ninfeo triclinio, conosciuto come Auditorium di Mecenate, è uno dei più interessanti siti archeologici di Roma.
E’ in questa aula che Mecenate organizzava i banchetti estivi o riuniva la cerchia dei poeti e intellettuali che affollavano la sua residenza sul colle Esquilino.
Visita guidata martedì 3 dicembre ore 10,00
L’edificio, che originariamente aveva una copertura a volta mentre oggi è protetto da una moderna tettoia, è costituito da un’ampia sala rettangolare semisotterranea, conclusa da un’esedra semicircolare con una gradinata costituita da sette stretti scalini concentrici. Lungo le pareti si aprono delle nicchie rettangolari.
La sala, ancora ben conservata, doveva essere parte di un più vasto complesso residenziale fatto costruire da Mecenate, celebre statista collaboratore di Augusto, che nel I secolo a.C. promosse l’operazione urbanistica di trasformazione dell’Esquilino da periferica zona cimiteriale a lussuoso quartiere di ville patrizie.
Il poeta Orazio ricorda gli imponenti lavori di bonifica eseguiti da Mecenate che, divenuto proprietario dell’area, eliminò l’antico sepolcreto esistente all’esterno delle Mura Serviane, a cui la struttura si addossa, per creare una villa con dei rigogliosi giardini. Sicuramente vi sorgevano edifici di varia natura e valore, dei quali rimane oggi solo l’Auditorium.
La caratteristica più evidente è la decorazione pittorica, risalente agli inizi del I secolo d.C., quando il complesso, morto Mecenate, era divenuto di proprietà imperiale.
Le nicchie, che movimentano le pareti laterali e la parete curva di fondo, furono affrescate internamente come se fossero delle finestre, aperte su lussureggianti giardini ricchi di vasche e fontane, e animati da piccoli uccelli in volo. Al di sopra di esse corre un lungo fregio su sfondo nero con scene dionisiache e giardini miniaturistici.
La funzione dell’ambiente è tuttora incerta. E’ tramontata ormai l’ipotesi iniziale che potesse trattasse di un auditorium, poiché la scalinata che caratterizza la parete di fondo ha gradini troppo stretti per far pensare ad una cavea teatrale.
Molto più verosimilmente la cavea era una fontana monumentale e la sala, riccamente decorata e allietata da giochi d’acqua che accrescevano la frescura dell’ambiente seminterrato, doveva essere destinata a “triclinio estivo”, cioè a luogo di riunioni conviviali e culturali.
Alcuni versi di un epigramma del poeta greco Callimaco, rinvenuti dipinti sull’intonaco esterno dell’abside, che alludono agli effetti del vino e dell’amore, costituiscono un’ulteriore prova dell’utilizzo della sala come un cenacolo di intellettuali.
Fiorenza Rausa